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  • Danilo Maestosi ha inviato un aggiornamento 1 mese fa

    Houra Farzaneh

    Danilo Maestosi, giornalista e pittore romano gentilmente ha scritto questo testo sulla nostra mostra “Corpo a Corpo Corpo a Cuore”
    Raro trovare una mostra che offra in modo così intenso e prezioso le chiavi per avvicinare i lavori e l’innaginario delle due pittrici che presenta sul palco come quella in cartellone fino al 6 marzo nella nuova sede della Galleria della Tartaruga, in condominio con la libreria Eli di viale Somalia 50 a. Dedicata a due artiste iraniane , Rasta Safari e Houra Farzaneh, trapiantate da anni qui a Roma , dove hanno perfezionato sino al diploma gli studi all’Accademia di Belle Arti e avviato una promettente carriera nel solco di una libertà di ricerca del loro futuro di donne e di autrici che il regime teocratico e la dittatura maschilista del loro paese avrebbe ostacolato e negato.
    Soffocato nella repressione e nel sangue come è avvenuto a continua ad avvenire in Iran a molte donne, a molti giovani scesi in piazza al loro fianco, che si ribellano ai vincoli ottusi imposti a soffocare e umiliare la realtà e la differenza dei propri corpi.
    Già, il corpo. Un dono di vita trasformato in un tragico bagaglio di sofferenza e conflitto. Un campo di battaglia che ti porti appresso come una mutilazione d’infanzia, un tormento oscuro a cui si aggiunge il senso di irreparabile, progressiva estraneità che e ti accompagna se cerchi fuga in esilio. La ferita del dover cercare riparo in altre regole, altre lingue diverse cui adattarsi. Come non bastassero le cicatrici sempre pronte ad infettarsi del mestiere dell’arte e della pittura che hai scelto per esprimerti, condensato in un altro tormentato corpo a corpo tra il dentro e il fuori per dar forma di verità all’ inquietudine che sempre accompagna la vita.
    Corpo a corpo:Ecco la prima chiave , nel titolo con cui Rasta e Houra hanno voluto incorniciare la loro mostra. Aggiungendo una seconda chiave, corpo a cuore, ancora più significativa al loro percorso. Con quel richiamo al baricentro dell’emozione che è la molla segreta che indirizza verso l’invisibile la mano e il pennello. C’è poi ancora una terza chiave altrettanto importante. Perchè apre al visitatore sentieri meno esplorati di quelli seguiti dalla partecipazione e dalla solidarietà da tifosi da stadio con cui qui generalmente in Occidente seguiamo le tragiche vicende dell’Iran in rivolta e più in generale anneghiamo l’ansia di tutti i fronti di guerra che la cronaca ci scarica addosso. Ritraducendo quanto accade nel linguaggio delle nostre abitudini , dei nostri modelli sociali di riferimento E cancellando come variabili irrilevanti storie, contesti, cultura, punti di vista di chi sta vivendo quel che accade sulla propria pelle e nel proprio cuore.
    Per capire davvero la condizione e la sofferenza di donne con cui .Houra e Rasta devono fare i conti e abitare i loro lavori bisogna raggiungerle nell’altrove di infinite diversità, leggerezza e innocenza perdute, della Persia, la millenaria cultura e il paese di cui registrano come radici profonde e irrinunciabili gli echi. Sono loro stesse ad agevolare l’attraversamento di questo ponte servendosi della mediazione visionaria della poesia, una forma di narrazione ed espressione comune a tutti gli strati sociali che è ancora fonte d’ispirazione per l’arte.
    Ognuna ha scelto dei versi per battezzare e distinguere il proprio ciclo di opere e il loro modo di immergersi nel caos di contraddittori impulsi e messaggi dei propri corpi.
    Houra Farzeneh, la soglia dei 40 anni appena varcata, da 7 anni in Italia, ha specchiato il male di vivere che la accompagna da sempre, nei versi di un poeta contemporaneo, Ahmad Shamlou, scomparso ad inizio del nuovo millennio, che circolavano tra le avanguardie più trasgressive nella Teheran, che ha fatto da incubatrice alla sua gestazione e alle sue aspirazioni d’artista . La libertà come il canto di un piccolo uccello. Se lo ignori il mondo intorno perde umanità, si fa sterile ,precipita in macerie. Se lo raccogli e lo rilanci dovrai sopportare, dolore, sangue cicatrici.Aggrappandosi a questi versi Houra ripercorre il diario dolente della sua stessa vita, Dall’ebrezza d’aria della nascita che la accoglie, al precipizio di dubbi, paure che le impediscono di liberarsi dalla consolazione dell’abbraccia materno, dai lacci di un cordone ombelicale che non riesce a recidere. Un vuoto di cadute e di rese , direzioni di fuga appena intraviste, nel quale si cala con un sovrapporsi di segni e di chiaroscuri , che registra opera per opera in un campionario di video, mentre perdono e ritrovano forma. Un laborioso corpo a corpo con la memoria e il rimpianto che a me fa tornare il mente la provocazione di uno dei romanzi d’avanguardia del Settecento, il Tristram Shandy di Laurence Stern,; una biografia immaginaria che parte con il concepimento del protagonista, E in più un corpo a corpo con la pittura che nobilita, da forza di verità inusuale al suo modo di fare arte, anche quando sembra uscire dalla lotta sconfitta.
    Nulla a che vedere con il narcisismo di superficie di tanti più famosi e celebrati pittori in circolazione, aggrappati all’ostentazione concettuale della forma come ad un trono, una sostituzione di potere su cui arroccarsi che li allontana dalle cose del mondo, impoverisce le loro possibilità di capire e farci capire cosa sta davvero accadendo.
    Già ,la forza della verità L’energia e la voglia di dire che qualunque osservatore non distratto e al riparo del malvezzo sbrigativo dei like può rintracciare anche nella pittura di Rasta Safari,. Agevolato dal ricorso alla figurazione , che in questa artista
    nata in un’antica città di provincia sulla rotta che scavalcati i monti porta al Pakistan e all’India, è più che una scelta di campo. Ma una faticosa necessità di verità che nasce dalla difficultà di entrare n relazione col proprio corpo. E dagli echi di una cultura millenaria impregnata d’Egitto, di Mesopotamia terra di figure divine ancorate alle prime forme di matriarcato, dal piacere di racconto delle miniature cinesi giunte in Persia con l’invasione dei mongoli, dal gusto della tessitura che ha reso unici i tappeti iraniani. E infine dalle voci di un Dio sconosciuto scoperto al contatto con la filosofia sufi, così diverso dal Dio dispotico e prescrittivo dell’Islam degli ayatollah , con cui devi comunque fare i conti, accumulando restrizioni e paure.
    Il Dio che ha ispirato le quartine e la straordinaria vita di scienziato e teologo illuminato di Omar Khayahm , tra le quali Rasta ha scelto in prestito i versi con cui intitola i nuovi lavori di questa mostra. La brocca rotta: lo spettacolo sconcertante di un Nume che riduce in frantumi il vaso della vita che pure lui stesso aveva esaltato come una coppa per abbeverarsi di gioia.
    E’ questo suo essere sospesa tra il pudore e il piacere, la voglia e la paura di togliersi la maschera, che l’ha spinta a mio avviso verso quelle tele grezze e stropicciate sulle quali ha riversato segni e colori. La memoria come un impronta sgualcita dalla distanza dal suo paese, e dai suoi affetti. E quella tela come un lenzuolo con cui, in una sorta di rito sacro e propiziatorio avvolge gli impulsi e le ritrosie del suo corpo nudo, lascia una traccia polverosa . Costellata di macchie, sui suoi ricordi, sospesi e impalliditi a metà tra due mondi, l’Italia dove ora vive e l’Iran dove è cresciuta. Scelta di grande efficacia ,quando Rasta riesce a trovare equilibrio tra pieno e vuoto, Ma difficile a gestire quando emozioni e pensieri ti si affollano dentro perchè su quella superficie di grinze non puoi permetterti errori e correzioni vistose.Come le è successo con un autoritratto che ha rinunciato, giustamente ad esporre, troppe le mutazioni, i dubbi che l’hanno assalita . Quel volto che ha visto tramutarsi nella maschera di un mostro, quel corpo che sembrava di fumo che ha cominciato a bersagliare di grumi colorati come volesse distruggerlo. Succede quando la pittura non nasconde la necessità di dire, segue un comando di verità.Si c’è una sapore autentico di verità, o di qualcosa che le assomigli, nei lavori di queste due pittrici in esilio: E’ la chiave che ha decretato l’interesse crescente del pubblico per questa mostra, innescando un pressante passa parola sigillato dalla decisione di prorogarla. Merito loro, del rigore che ha guidato Marco Pezzali, il gallerista che l’ha curata, e della libreria Eli, il cenacolo culturale che l’ha ospitata e sta imponendosi nel panorama romano come un laboratorio dove ricostruire il collante perduto tra le visioni e gli immaginari paralleli di arte e scrittura.
    Rasta Safari Danilo Maestosi Marco Pezzali
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