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  • Fabio Massimo Castaldo ha inviato un aggiornamento 5 anni, 4 mesi fa

    In questi giorni, una triste vicenda di cronaca americana è rimbalzata sui quotidiani nazionali di tutto il mondo.

    Conosciamo ormai tutti il nome di George Floyd, 46enne afroamericano di Minneapolis ucciso in modo barbaro e disumano dall’agente di polizia Derek Chauvin, arrestato poi ieri con l’accusa di omicidio colposo.

    Questa vicenda, sulla quale spero la giustizia americana possa fare il suo corso, dovrebbe portare molti di noi a una profonda riflessione.
    Premesso che Derek Chauvin era evidentemente un profilo borderline, un agente che in 19 anni di carriera ha infatti collezionato molte denunce per uso eccessivo della forza e almeno una causa relativa a un’accusa di violazioni dei diritti costituzionali federali di un prigioniero. Probabilmente, un profilo di cui si sarebbe dovuti già occupare, e che verosimilmente non avrebbe dovuto essere più in servizio.
    È evidente a tutti che in questa vicenda vi sia una forzatura innaturale del ruolo dell’agente di polizia. Un poliziotto, un servitore dello Stato, deve mettere al primo posto la sicurezza dei propri cittadini. L’uso smodato della violenza non può e non deve appartenere a uno Stato di diritto, democratico, dove la giustizia deve porre tutti i cittadini sullo stesso piano. Ma non è questo il punto su cui vorrei ragionare insieme a voi.

    Penso, invece, che la morte di George ci ponga dinnanzi a una grandissima contraddizione, specialmente in questo momento difficile per tutti noi: da un lato si chiede di “restare uniti”, si dice “ce la faremo”, si professa il “restiamo umani, restiamo vicini”, e si sottolineano (giustamente) le gesta eroiche di medici e infermieri che stremati combattono il virus che, triste ironia della sorte, toglie il respiro. Dall’altro, però, ci sono situazioni in cui questa umanità non si vede: e mentre un medico combatte per restituire la vita a un malato, un poliziotto la vita la sta portando via, proprio togliendo il respiro, a un uomo inerme, sdraiato al suolo, che non potrebbe far male a una mosca.

    E allora se non capiamo che qui c’è una contraddizione, un grandissimo errore della nostra società, ci dimostriamo profondamente IPOCRITI. Perché dobbiamo capire, e dobbiamo farlo in fretta, che la vita di George Floyd valeva esattamente tanto quanto quella di un malato in rianimazione, ed era giusto preservarla. Floyd aveva avuto problemi con la giustizia? Bene, doveva essere però un giudice (o nel caso statunitense una giuria) a decidere se fosse colpevole, assegnandogli una pena consona al sistema penale americano, non certo un agente di polizia (con problemi più che evidenti nello svolgere il suo lavoro). Chauvin si è voluto far giudice unico, credendosi al di sopra di tutto e tutti, e facendo prevalere la sua “autorità” sopra ogni altra legge, statale e umana. È quindi il trionfo dell’ipocrisia, la vittoria dell’autoritarismo sull’autorevolezza, la sconfitta dello Stato di diritto e della giustizia.

    La violenza va condannata sempre e comunque, ma qui il dibattito va portato a un livello superiore: non si può accettare un modello di società del genere, che tollera di fatto il proliferare delle diseguaglianze, sotto più punti di vista.
    Pensiamoci quindi attentamente: dobbiamo lavorare affinché nella nostra comunità ci siano sempre meno Derek Chauvin, perché domani chiunque di noi potrebbe essere George Floyd.

    Riposa in pace George, che tu abbia giustizia.